Cyberattacco figlio di un virus “Made in USA”


Il cyberattacco subito da 73 paesi del mondo, tra i quali anche l’Italia, lo scorso venerdì scorso ha dimostrato ancora una volta la pericolosità non tanto dei tanto vituperati hacker, cosa peraltro già nota da anni vista anche la ricca letteratura cinematografica sull’argomento, bensì degli Stati Uniti. Cioé il paese dal quale sarebbe stato rubato il virus “ransomware” utilizzato per mettere in scacco aziende e istituzioni pubbliche di mezzo mondo.

La questione inquietante, scorrendo la stampa internazionale, é che questo aspetto della vicenda il quale dovrebbe essere la vera notizia, è trattato solo marginalmente dai media del mainstream occidentale: quasi una notizia di cornice, utile per dare qualche informazioni più al lettore invece che diventare il centro di un dibattito internazionale su come gli USA ormai stiano diventando una mina vagante per la destabilizzazione del mondo.

Lo screenshot di un sito che ha subito l’attività di hackeraggio

Il virus Wanna Decryptor o WannaCry capace di blocca i computer e far apparire un messaggio di riscatto sarebbe infatti stato trafugato dalla NSA (National Security Agency) americana cioé una agenzia governativa statunitense cresciuta all’ombra della CIA per  tutelare la sicurezza interna al paese. Peccato che un virus del genere abbia ben poco di sicurezza interna, come hanno dimostrato gli attacchi avvenuti in questi giorni. E’ evidente infatti che si tratti di un’arma che potrebbe in futuro essere tranquillamente indirizzata a paralizzare aziende concorrenti o paesi terzi sgraditi agli Stati Uniti. Si pensi che per esempio hanno subito danni multinazionali come Telefonica, Gas Natural Iberdrola e FedEx.

Allora viene spontaneo domandarsi perché i giornalisti di mezzo mondo continuino a sprecare inchiostro concentrandosi più sulle conseguenze dell’attacco, invece di denunciare come questa arma sia un vero e proprio proiettile in canna per gli Stati Uniti, pronto ad essere esploso nel momento opportuno. E il tragico é che, nel silenzio, questo proiettile sia in mano ad un Paese che da mesi propaganda come dietro ad ogni episodio sgradito vi sia lo spettro di pseudo hacker russi in azione. Vogliamo iniziare invece a parlare delle azioni piratesche e pericolose dell’intelligence americana? Anche perchè ad oggi, come ho già avuto modo di sottolineare in precedenti articoli, l’unica evidenza provata é quella fornita dalle rivelazioni di Wikileaks sugli Stati Uniti, una nazione che non é in grado di rispettare i diritti neppure dei propri alleati, dei Paesi che durante gli incontri bilaterali chiama amici. E allora viene spontaneo denunciare come chi accusa agli altri di hackerare, senza peraltro avere uno straccio di prova, lo fa perché é pronto a farlo a sua volta. Il virus trafugato in questi giorni é la pistola fumante che prova come gli Stati Uniti abbiano in mano un arsenale di armi di cyberspionaggio che possono potenzialmente fare danni come un bombardamento su bersagli sensibili.

Paradossalmente Microsoft é stato l’unico soggetto a fotografare il problema sottolineando in queste ore come i governi non dovrebbero stoccare pericolosi software i quali potrebbero trasformarsi in armi. Brad Smith, presidente della multinazionale informatica ha spiegato sul blog della società:

“Abbiamo visto vulnerabilità stoccate dalla Cia che sono finite su WikiLeaks e adesso questa vulnerabilità rubata alla Nsa ha colpito clienti in tutto il mondo. Uno scenario equivalente con armi convenzionali sarebbe il furto di missili Tomahawk. I governi di tutto il mondo dovrebbero trattare questo attacco come un campanello d’allarme”.

Nonostante il virus sia stato trafugato dall’Nsa statunitense pare incredibile che non sia stato fornito l’antivirus, almeno alla Gran Bretagna che ha visto colpito il sistema sanitario. Pare infatti improbabile che i proprietari del software rubato non abbiano creato “l’antidoto” al virus per evitare che produca danni ai computer del governo americano in caso qualcuno ne fosse venuto in possesso. E così in Inghilterra continuano i disagi in almeno sette ospedali colpiti dall’attacco laddove basterebbe che gli Usa dessero una mano a eliminare i danni creati dalla loro creazione.

Per quanto tempo quindi dovremo ancora andare avanti nell’assistere alla litania che dietro ogni attività di hackeraggio ci sia una matrice russa? Non è che forse molti di questi eventi costituiscono vere e proprie false flags, cioé operazioni sotto falsa bandiera, che vogliono minare la credibilità di un Paese estero per orientare l’opinione pubblica verso la propria causa? Per carità qualcuno potrà dire che stiamo pericolasamente sull’orlo del complottismo: ma anche un cyberattacco come quello subito in questi giorni dal mondo, fino a ieri pareva fantapolitica. A forza di bollare tutto sotto il facile appellativo di fake si corre questo rischio: come gridare al lupo, al lupo…