Italiani sempre più poveri: così non va!


Così proprio non va: ogni volta che vengono rese pubbliche delle rilevazioni sul benessere in Italia, si finisce per leggere soltanto brutte notizie.

È di questi giorni il comunicato del ministero dell’Economia in cui, sulla base delle dichiarazioni dei redditi per il 2017, si calcola che il reddito complessivo è sceso dello 0,6%. La flessione è persino maggiore se si guarda a quello medio, che attestandosi a 20.670 euro ha registrato un calo dell’1,3%, cioè il 3% in meno rispetto a 10 anni fa. Ma la situazione va anche peggio se consideriamo i pensionati, per i quali raggiunge appena i 17.430 euro, un vero e proprio paradosso se si pensa che il 2017 è stato l’anno in cui il Pil è cresciuto in Italia al livello record del +1,6%. Si tratta di un evidente segnale di disomogeneità nella distribuzione della ricchezza, la quale si concentra sempre di più in un numero sempre minore di persone.

Purtroppo brutte notizie arrivano anche dal fronte di quello che storicamente è il “bene rifugio” degli italiani: il mattone. Secondo l’Istat, il valore degli immobili si è ridotto dello 0,6%, nonostante un generale incremento delle compravendite. In questo caso a pagare maggiormente lo scotto sono il Centro e il Sud (con le isole), che hanno fatto rispettivamente segnare un -1,8% e un -1%. Il crollo dei prezzi delle abitazioni ormai non frena più dal 2012, da quando venne registrato il -2,5%. A partire da quel momento si sono sommate solo riduzioni su riduzioni: -6,5% (2013), -4.7% (2014), -3,8% (2015), 0,0% (2016), -0,8% (2017). In definitiva, il valore degli edifici è sceso del 16,4% in 7 anni, contraendo così il risparmio degli italiani. E se guardiamo agli ultimi 10 anni, il calo è addirittura del 23,3%. D’altra parte, è proprio sulle case che si era concentrata l’attenzione dell’Unione Europea nell’assegnare i famigerati “compiti a casa”. E come potevano rifiutarsi di attuare queste salvifiche misure i competentissimi ministri, se “lo chiede l’Europa”… Per dare l’idea dello sfacelo causato da coloro che volevano il bene del Paese, è sufficiente questo dato: tra il 2008 e il 2017 la casa ha subito un aumento della tassazione pari a quasi il 92%. Con l’Ici, il gettito prodotto era di 10,9 miliardi di euro, ma con l’avvento dell’Imu di Mario Monti l’aumento è stato di 20,8 miliardi. Come conseguenza sono saliti pure gli affitti: soltanto nel 2012 si registrò un aumento dell’11%. L’ultimo dato disponibile è quello del primo semestre dello scorso anno, in cui contratti di locazione sono saliti mediamente dell’1,1% per i monolocali, del 1,4% per i bilocali e del 1,2% per i trilocali.

È chiaro che la tenuta del tessuto sociale sta diventando drammaticamente debole. Come spiega il presidente dell’Unione nazionale consumatori (UNC), a seguito della stima dell’inflazione di marzo emessa dal Governo in linea con un +1% annuo, per una coppia con due figli l’inflazione a +1% significa avere una maggior spesa annua complessiva di 349 euro, ben 195 euro per i beni ad alta frequenza d’acquisto e 111 per il solo carrello della spesa, mentre si arriva a 151 euro per abitazione, acqua, elettrictià e combustibili e 64 per i trasporti. Per una coppia con un figlio la stangata scende a 327 euro su base annua. Non è quindi una coincidenza che nel mese di marzo la fiducia dei consumatori sia scesa da 112,4 a 111,2. Secondo l’Istat stiamo assistendo a un deterioramento di tutte le componenti della fiducia, dalle prospettive economiche generali a quelle personali. E non per caso questo clima di sfiducia corrisponde all’allargarsi del divario italiano nel 2018 rispetto alla crescita nel resto dell’UE.

A contribuire alla nuova povertà diffusa non sono però soltanto le tasse e la mancanza di crescita, ma vi sono anche altri fattori apparentemente piccoli, ma che incidono pesantemente sulla qualità della vita di quei cittadini che credono nel futuro, cioè coloro che fanno figli e cercano di crescerli al meglio. Si pensi che soltanto un bambino su quattro riesce a trovare posto in un asilo pubblico, perché l’offerta copre appena il 24% del bacino di utenza, nonostante l’UE fissi come parametro il 33%. Il costo medio per un asilo privato è di 301 euro mensili, cifra folle se confrontata ad altri membri UE dove i costi sono molto contenuti oppure addirittura a carico dello Stato. E con le baby sitter il salasso aumenta ancora di più. I genitori spesso finiscono per “impiccarsi” finanziariamente. Perciò il senso di frustrazione e di rancore che attraversa il popolo italiano non dovrebbe più stupire gli intellettuali che ripetono a pappagallo frasi fatte sugli italiani incattiviti, ignoranti e vittime di fantomatici “ismi”. Si tratta sic et simpliciter di un malessere che aumenta costantemente da anni e che non accenna a placarsi, perché le istituzioni, specialmente quelle sovranazionali, non possono o non vogliono darvi risposta: e infatti il loro consenso sta scendendo a livelli minimi.

Pubblicato su Sputnik Italia