La sentenza pronunciata dal Tar e che ha fatto decadere ben cinque direttori di aree museali non può essere derubricata ad un semplice incidente di percorso. Deve purtroppo essere bollata per quello che é: una tipica follia italiota, cioé di un Paese dove tutto viene lasciato rotolare fino alla rovina e dove la propensione all’autolesionismo impera sovrana.Numerosi i rilievi avanzati dal Tar alla riforma dei musei varata dal Governo Renzi e che aveva portato ad assoldare anche dirigenti dall’estero. Secondo i giudici non sarebbe stato possibile, prima di tutto, ammettere non italiani a una selezione per un ruolo di dirigente pubblico. E’ stato poi contestato lo svolgimento delle prove orali perché erano a porte chiuse e, in almeno due casi, addirittura «da remoto» in collegamento Skype con Australia e Usa. Una procedura ritenuta dal Tribunale amministrativo inammissibile con i principi di trasparenza e parità di trattamento tra i candidati di una selezione pubblica. Inammissibili poi anche i criteri per entrare nella terna finale.
“Lo scarto minimo dei punteggi tra i candidati meritava una puntuale e più incisiva manifestazione espressa di giudizio da parte della commissione piuttosto che motivazioni criptiche e involute”.
Gli esponenti del Partito Democratico hanno immediatamente fatto fronte comune contro questa pronuncia che di fatto boccia la loro riforma. L’ex premier Matteo Renzi ha scritto sui suoi profili social che “l’errore del suo governo è stato di non aver provato a cambiare i Tar“. E anche il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha sostenuto che “i Tar andrebbero cambiati, senza demonizzarli, precisando meglio qual è l’ambito di competenza della politica e quello del Tar“.
Sinceramente é evidente che non si può attribuire esclusivamente al Tar gli effetti di questa sentenza. Fabio Mattei, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Amministrativi, ha infatti chiarito come “La nomina di dirigenti pubblici stranieri (chiamati a esercitare poteri) è vietata nel nostro ordinamento. Se si vogliono aprire la porte all’Europa – e noi siamo d’accordo – bisogna cambiare le norme, non i Tar“. E infatti le responsabilità vanno attribuite ad una classe dirigenziale italiana che appare, ogni volta che é messa alla prova,assolutamente non all’altezza delle sfide globali che deve affrontare. Ad esempio, nel caso di specie, il legislatore – come spesso avviene – non é stato in grado di scrivere leggi coerenti e chiare e i giudici – che frequentamente abusano di un potere di interpretazione che il nostro sistema di diritto non consente loro – non hanno fatto lo sforzo di allargare il proprio perimetro di giudizio come sottolineato dal giudice della Corte Costituzionale Sabino Cassese. Proprio il giudice emerito, dalle colonne del Messaggero, precisa come:
“Siamo in presenza di sentenze verbose e sovrabbondanti dove non ce n’era bisogno, sbrigative dove era necessario (per dimostrare che rifiutiamo gli stranieri). Ora dobbiamo aspettare il Consiglio di Stato”.
Il problema però é che questa sentenza, banalizzando, consegna l’idea di un Paese che é capace solo ad importare profughi spesso anche a dispetto delle leggi in vigore. Quando invece si tratta di “assoldare” cervelli allora il motore si inceppa e basta anche una virgola della legge per cacciare dei professionisti che hanno un’unica colpa: quella di poter produrre Pil e benessere in un Paese refrattario al cambiamento e all’innovazione.