Ho comprato questo romanzo attratto dalla trama di estrema attualità visti i nuovi attentati di matrice islamica avvenuti in Francia. Il lavoro di Sabri Louatah, scrittore trentaduenne nato a Saint-Etienne ma di origini algerine, è ambizioso: vuole scrivere una opera in quattro atti che assurga a “romanzo europeo” cioé di quella Europa che si trova a dover gestire con la questione dei migranti la sua prima vera grande crisi etica. In una interessante intervista rilasciata a “L’Espresso” l’autore rivela come:
“Moltissimi sono morti, moltissimi continuano ad arrivare: assistiamo alla generosità tedesca e al conservatorismo francese. L’Europa è già morta una volta quando ha chiuso gli occhi sulla Shoah. Mi domando se non sia in procinto di morire una seconda chiudendo gli occhi su questa nuova tragedia prodotta da un demone che si chiama nazionalismo. Un demone a due facce, come Giano bifronte: da una parte, appunto, il nazionalismo. Dall’altra il risentimento etnico, l’odio viscerale per l’Occidente, l’Europa, quindi il terrorismo islamico che in Francia ha le sue origini nella guerra d’Algeria, nel colonialismo, nel non sentirsi assolutamente francesi. Perché, altrimenti, dei francesi della mia generazione partono per la Siria? Quasi tutti sono nati in Francia come me: ma non tutti ragionano come me…”
La trama appare intrigante, peccato che lo scrittore si perda superficialmente più nelle sue valutazioni politiche dei pregiudizi della gente che non nel caratterizzare a dovere dei personaggi che dovrebbero assurgere ai nuovi “Miserabili” di Francia almeno secondo le aspirazioni di Louatah. Altro che romanzo europeo, qua siamo di fronte all’esercizio di uno scrittore astioso verso la propria nazione e la propria razza e che non trova altro sfogo che rovesciarla in un romanzo che ahinoi non merita la sufficienza, anzi. Anche il pretesto del matrimonio che permea gran parte di questo primo volume, poteva essere utilizzato per alleggerire gli argomenti trattati. Ci si poteva immaginare una sorta di Mama Tadori così ben scritto da Ernest Van der Kwast, un romanzo questo sì capace di denunciare i pregi e i difetti di una nazione senza però cadere nella rabbia sociale.
Invece in questo libro si legge quasi esclusivamente la rabbia dello scrittore, impersonificata nel protagonista Krim Nerrouche, che però resta sempre senza una identità ben definita e senza un valore per il quale combattere. In questa altalena di non detti si articola “I Selvaggi” che sinceramente si fa fatica a leggere già solo per le 218 pagine del primo volume, figuriamoci per altri tre tomi. Se ci si vuole autoflagellare lo consiglio, altrimenti é una lettura che si può tranquillamente evitare lasciandolo alla critica radical chic che lo ha osannato e che lo porterà anche sul grande schermo prodotto da Canal Plus. Chissà che gli sceneggiatori riescano a mettere una pezza ai tanti, troppi, difetti di questo romanzo. Ma d’altra parte la superficialità va bene per la Tv e quindi magari non dovranno neppure fare tanta fatica…
Voto della redazione: 4
