La “minaccia umanitaria” al business americano


Sullo sfondo della crescente emergenza mondiale, la maggioranza dei leader e di coloro che influenzano l’opinione pubblica sta proponendo di mettere da parte le competizioni geopolitiche e di unire gli sforzi per lottare contro la minaccia globale.
Persino  il segretario generale del blocco militare e politico della NATO, Jens Stoltenberg, ha smesso di lanciare i soliti cliché propagandistici e ha indicato la necessità di aiuto reciproco tra i vari Paese per superare la crisi, sottolineando che ogni membro dell’Alleanza ha diritto di decidere autonomamente da chi ricevere l’aiuto. Ha inoltre risposto in maniera neutrale alle domande di Teri Schultz del Deutsche Welle, che chiedeva dell’atteggimento tra i vertici NATO rispesto alle azioni di Cina e Russia che stanno aiutando vari Paesi contro il coronavirus. Il canale televisivo tedesco  ha definito sospetto l’invio di specialisti russi in Italia e ha di fatto accusato la miopia e la passività dei vertici del blocco atlantico rispetto a ciò che sta facendo il principale concorrente geopolitico.

Quindi ci sono dei mass media e degli esperti che continuano ad azionare la macchina della propaganda, del depistaggio fondato sul nulla anche in tempi come questi.

Un capitolo a parte meriterebbero quei “leader” politici che deboli in Patria tendono a voler trovare un nemico esterno per giustificare il crollo dei propri consensi. Ma di questo tratteremo in un prossimo articolo di approfondimento. Ora concentriamoci sui media.

Di fronte ad una parte – la maggioritaria per fortuna – della comunità internazionale che compie degli sforzi senza precedenti nella storia, unendo le forze si contrappongono una serie di media del mainstream che si nascondono dietro alla libertà di parola e al diritto di cronaca per perseguire gli obiettivi geopolitici dei propri editori. Assistiamo quindi a parole e gesti cinici e provocatori da parte di giornalisti e opinion leader che servendo il proprio “padrone” tentano di affondare i tentativi di mettere da parte le divisioni del passato di fronte ad una emergenza che non ha patria, ma che colpisce tutti inesorabilmente..

Un clamoroso esempio è quello di Jacopo Iacoboni, giornalista del quotidiano La Stampa, noto come fotocopiata di veline d’oltreoceano russofobe. In piena pandemia è riuscito ad innescare un piccolo scandalo non tanto giornalistico, quanto piuttosto diplomatico. Il 25 marzo ha pubblicato un articolo in cui di fatto ha definito l’aiuto umanitario russo come un’invasione armata del territorio italiano. Il 26 marzo ha poi fatto un parallelo tra la situazione attuale e la penetrazione delle truppe sovietiche in Arghanistan nel 1979. Bisogna notare Iacoboni ha seguito il classico schema “britannico” delle bufale giornalistiche, nel quale l’autore si defila da qualsiasi responsabilità morale o giuridica facendo riferimento a determinate fonti autorevoli ma anonime; è ciò che ha fatto Iacoboni nel rispondere alla lettera dell’ambasciatore russo in Italia Sergey Razov. Ma allora quali sono le fantomatiche fonti di Iacoboni

Chiaramente non possono essere Giuseppe Conte o Luigi Di Maio, che hanno personalmente partecipato all’organizzazione dell’arrivo degli specialisti russi, oppure l’ambasciatore italiano a Mosca Pasquale Terracciano o il generale Luciano Portolano o i governatori di regione che hanno espresso riconoscenza alla Russia per l’aiuto, non ultimo il Piemonte che ha chiesto l’intervento di quegli stessi medici ben bonificare anche alcune proprie Rsa. Numerosi rappresentanti del ministero della Difesa italiana hanno espresso una certa diffidenza, ma hanno anche riconosciuto che in questo momento l’Italia ha bisogno di qualunque aiuto chiunque voglia fornire. Inoltre, ciò che stanno facendo i militari russi è approvato e sostenuto da una larghissima fascia della popolazione italiana: qualunque politico italiano di alto livello che oggi critichi la Russia ne riceve un danno alla propria immagine.

Dunque non possiamo escludere che la linea editoriale sugli argomenti politici più delicati risponde a interessi non italiani, ma di altri Paesi, ed è senz’altro dettata a Iacoboni dagli editori de La Stampa. Il membro della famiglia che oggi si occupa del giornale è l’italo-americano John Elkann (componente del comitato direttivo del Bilderberg e con ex legami lavorativi da parte di membri della sua famiglia con la banca Rotschild), che è anche capo del consiglio direttivo nonché direttore esecutivo della holding Exor. Gruppo che detiene il conglomerato mediatico GEDI Gruppo Editoriale, che possiede non solo La Stampa ma anche La Repubblica e il Secolo XIX. Non è difficile collegare gli interessi dell’editore con quelli di Fiat Chrysler che ormai è una multinazionale di fatto americana.

In alter parole La Stampa appare anche come uno strumento di lobbying a favore degli interessi del complesso industriale e automobilistico americano in Europa, che ovviamente non vede di buon occhio un avvicinamento tra Roma e Mosca. Già in aprile 2018 il direttore generale del giornale Maurizio Molinari, che peraltro vive metà del suo tempo a New York, in un’intervista al The New York Times aveva espresso inquietudine per il rafforzamento dei rapporti russo-italiani e per l’indebolimento dei rapporti amichevoli tra Italia e USA. Sarà un caso che il direttore Molinari rilasci una interista proprio al giornale che ieri ha firmato un editoriale che nuovamente senza citare alcuna fonte controllabile attacca nuovamente i russi dichiarando che da dieci anni fanno disinformazione non più a livello politica ma ora sanitario?

E Jacoboni chi è? Un giornalista equidistante che ha veramente a cuore la libertà d’informazione?  Ci ricorda chi è il sito Primato Nazionale che ricostruisce la biografia della penna de La Stampa:

“Jacopo Iacoboni è un collaboratore del think tank americano Atlantic Council, il cui scopo è “promuovere la leadership americana e promuovere accordi internazionali basati sul ruolo centrale della comunità atlantica nell’affrontare le sfide del XXI secolo”. Per perseguire tali obiettivi, l’Atlantic Council beneficia dei copiosi finanziamenti del governo statunitense e di quelli del britannico Foreign and Commonwealth Office. Il presidente del think tank americano è John F.W. Rogers, vicepresidente esecutivo della Goldman Sachs, ex sottosegretario presso il Dipartimento di Stato americano (amministrazione George H. W. Bush) e precedentemente assistente del presidente Ronald Reagan alla Casa Bianca. Sposato con Deborah Lehr, giornalista dell’Huffington Post ed ex mediatrice dell’amministrazione Clinton sulla politica commerciale della Cina, Roger era presente alla prestigiosa cena di stato organizzata dal presidente Trump in onore del presidente francese Emmanuel Macron nel 2018. Per Atlantic Council, Iacoboni è stato autore del rapporto “The Kremlin’s Trojan Horses” pubblicato nel novembre 2017, nel quale si ipotizzano le intromissioni della Russia nella politica italiana, spagnola e greca. Nel paragrafo dedicato all’Italia, il giornalista de La Stampa rintraccia lo zampino di Putin in tutti i partiti italiani, ad eccezione del Partito Democratico. Uno dei co-autori di “The Kremlin’s Trojan Horses” è Nicolas De Pedro, leader del cluster spagnolo di Integrity Initiative, think tank britannico finanziato sia dal Foreign and Commonwealth Office sia dal ministero della Difesa del Regno Unito. Di Nicolas De Pedro, avevamo parlato nell’articolo del febbraio scorso, “Per i servizi segreti spagnoli, Soros è una delle principali minacce del Paese“. Nel novembre del 2018, Integrity Initiative era stato vittima di un attacco hacker di Anonymous, che aveva svelato la sua rete di cluster diffusa in ogni Paese europeo e la sua vicinanza ai servizi segreti britannici. Tra i leak diffusi, era stato rintracciato anche il cluster italiano che includeva Jacopo Iacoboni e Beppe Severgnini. Iacoboni si era subito affrettato a smentire la sua vicinanza al think tank britannico, minacciando una pioggia di querele. I referenti del cluster italiano sarebbero stati Wendy Wyver, consigliere politico presso l’ambasciata britannica a Roma, Ken O’Flaherty, viceambasciatore britannico in Italia, e Sheba Rosier, segretaria agli affari politici dell’ambasciata”. Per carità saranno tutte casualità, ma seguendo l’approccio di Jacoboni qualche dubbio queste frequentazioni lo fa venire e qui qualche prova parrebbe esserci a differenza che nelle sue inchieste dove non è mai rintracciabile uno straccio di prova.

Nelle condizioni di ristrettezza dettate dalla pandemia e di emergenza sanitaria è veramente triste che alcuni mass media continuino imperterriti la loro guerra dell’informazione per perseguire scopi che nulla hanno a che vedere con il sacrosanto dovere del diritto di cronaca. Questo dovrebbe fermarsi almeno di fronte ai morti. Ma si sa che i morti non sono utili al mainstream a meno di poterli attribuire a qualcun altro.