Può un giudice chiedere a un genitore: Portatemi la prova che vostro figlio possa vivere? Nell’assurdo mondo in cui siamo capitati, pare proprio di sì. L’Alta corte di Londra ha infatti detto queste parole ai genitori del piccolo Charlie Gard, durante l’udienza per permettere il trasferimento del bambino in un ospedale che pratica cure sperimentali contro l’encefalopatia. È difficile non farsi prendere da una rabbia feroce nel sentir pronunciare quella frase da parte di un esimio rappresentante della Giustizia. Ma quale Giustizia? Quella astratta e disumanizzata di chi vorrebbe arrivare al “Mondo nuovo” di Huxley? Come si può invertire l’onere della prova addossandolo a una parte, che debba convincere giudici che si sono già pronunciati per la soppressione dell’infante?
I ricercatori dell’ospedale vaticano Bambin Gesù hanno affermato che esisterebbe per la patologia di Charlie una terapia a base di deossinucleosidi, che sono molecole simili ai “mattoni” del Dna. C’è anche un documento secondo cui in base a studi già comparsi su riviste scientifiche e a dati non ancora pubblicati, queste molecole sono in grado di superare la barriera emato-encefalica, quella che divide i vasi sanguigni dal cervello: quindi una possibilità di influire sull’encefalopatia del piccolo. Ma nel mondo dei nuovi valori moderni il sistema giudiziario non guarda in faccia neppure la vita: né l’Alta corte di Londra né l’Alta corte europea si sono date la briga di capire se la possibile cura fosse credibile, prima di emettere la sentenza di soppressione del bambino. È un atteggiamento inacettabile, in particolare perché c’è un giudice-tutore che si erge a difensore della dignità del bambino: ma questo eccellentissimo professionista che cosa sta tutelando? La sensazione è che vi sia la tendenza a scegliere la strada meno impervia, quella che prevede il minor numero di ricerche di prove, come spesso avviene nelle Corti di tutto il mondo.
Il giudice Nicholas Francis, in apertura dell’ultima udienza, ha pronunciato frasi di rito che paiono delle affermazioni di circostanza più che l’espressione di un onere deontologico che imponga di cercare tutte le vie per salvare la vita di un bambino sotto tutela: Credo che non ci sia nessuno, qui dentro, che non vorrebbe salvare la vita di Charlie Gard. Anche io sono uno di quei 350 mila che hanno firmato la petizione. Sono un giudice. E sarei felice di cambiare idea sulla mia sentenza. Ma devo decidere per il bene del bambino in base ai fatti. Non per un tweet o per quello che dicono i media. Ed è possibile prevaricare la potestà genitoriale in questo modo? Sarà tutto perfetto dal punto di vista giuridico, ma un sistema giudiziario così arrogante da elevarsi a dispensatore di eutanasia verso i minori rappresenta, dal mio umile punto di vista, l’ennesimo capitolo della degenerazione morale impostaci dall’alto.
Qualcuno potrebbe obiettare che tenere in vita il povero Charlie sia altrettanto incivile. Certo, può essere, ma la tutrice legale Victoria Butler-Cole ha detto: A Charlie viene somministrata della morfina. Non esistono in medicina casi di danni cerebrali uguali al suo che abbiano avuto dei regressi; quindi sembra che già oggi il bimbo non possa sentire alcun male, perciò dove starebbe l’affronto se lo si trasferisse in America o in Italia dove due ospedali hanno offerto cure d’avanguardia? Viene spontaneo domandarselo, perché qui non si sta discutendo di chiudere un’azienda, togliere una patente o revocare una licenza, ma si sta decidendo sulla vita o la morte di un innocente.
Quasi in parallelo a quanto avviene in Gran Bretagna, il gip di Milano Luigi Gargiulo ha formulato l’imputazione coatta nei confronti di Marco Cappato, l’esponente dei Radicali che lo scorso febbraio aveva accompagnato Fabiano Antoniani in una clinica svizzera per praticare il suicidio assistito. Non solo avrebbe agevolato il suicidio di Dj Fabo, ma avrebbe anche “rafforzato” la sua volontà di togliersi la vita. Un’imputazione surreale, dato che in questo caso l’idea è che per la giustizia italiana la dignità della vita non esista. Dj Fabo era cieco e tetraplegico a causa di un incidente stradale, avvenuto nel 2014. Era vittima di una paralisi totale che non può non inficiare la qualità della vita umana: proprio per questo, se si seguissero i ragionamenti britannici, la dignità non potrebbe essere ignorata, in particolare quando si è di fronte alla volontà pienamente espressa da parte di chi sta soffrendo. Due pesi, due misure: le Aule del nostro moderno Occidente sembrano piene zeppe di ideologia, ma sembrano svuotate di diritto.