Mercenari, foreign fighters, combattenti stranieri, contractors… la stampa occidentale ha dato nel corso degli anni vari nomi a questo genere di avventurieri, anche se ultimamente preferisce usare il termine con accezione positiva di “volontario”. Si possono certamente fare delle distinzioni sul piano giuridico, ma ciò che li accomuna è il partire per un Paese straniero che formalmente non è alleato del proprio e combattere una guerra che non è la propria. Ed essere pagati per farlo.
Negli ultimi tempi è aumentato negli USA il numero di coloro che lo fanno perché sono ex galeotti o perché scappano da situazioni spiacevoli come le pendenze giudiziarie di natura penale. Per il governo di Kiev non fa molta differenza. Vi sono altresì gli idealisti che credono di battersi per la libertà e la democrazia, ma quello era stato un fenomeno della prima ora, prosciugatosi relativamente in fretta. In maggior parte sono uomini motivati dal guadagno promesso e da quello che pensano di ottenere coi traffici che possono derivare dal mercato nero o da altri elementi tipici di un conflitto armato. Chi sopravvive alle ferite, comunque, deve poi vedersela con lunghi periodi di isolamento, magari confinato in un ospedale ucraino in cui non conosce nessuno, nemmeno la lingua, in attesa che un ente di beneficienza si occupi di lui.
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