L’occidente ha già perso


La pace è una cosa seria. Ma ahimè, non la pensano così l’élite europea e la sua intellighenzia, come è apparso evidente sin dalle prime battute del summit in Alaska. Il declino della democrazia euroamericana si è notato già al momento delle foto di rito, all’avvio dei colloqui fra i due presidenti. I giornalisti occidentali urlavano a Putin se fosse disposto a un cessate-il-fuoco immediato: come poteva dare una risposta seria prima ancora di sentire le proposte della Casa Bianca? Ovviamente non poteva. Dunque una domanda del genere in quel momento è una immagine plastica di come nel mondo cosiddetto “civile” sia tutto spettacolarizzato e superficiale, pure il comportamento della stampa a un summit fra superpotenze.

Dall’autosuggestione per la propaganda di guerra o da interessi politico-economici più o meno palesi deriva una sorta di sindrome di Stoccolma. Le posizioni assunte dalla UE, dalla NATO e da molti governanti occidentali prima, durante e dopo il summit in Alaska sono talmente insensate e pretestuose da risultare imbarazzanti per chiunque possieda un minimo di dignità e desideri trovare una via di riconciliazione. Possibile che non ci sia nessuno pronto ad aprire dei seri canali di dialogo con Mosca, come esortava il Papa? Ed è incredibile che nel Partito Popolare Europeo, che dovrebbe essere la voce più attenta alle parole del Vaticano, vi siano i politici più ostili alla risoluzione pacifica del conflitto.

Lo sapeva bene anche Papa Francesco, accusato ripetutamente di avere posizioni filorusse. Per esempio quando disse che la guerra in Ucraina era stata “forse facilitata dall’abbaiare della NATO alle porte della Russia”. Oppure quando definì l’uccisione di Darya Dugina come “attentato a una povera ragazza innocente” e parlò di “guerra assurda e crudele”. Poi quando in collegamento video con giovani cattolici russi di San Pietroburgo li invitò ad essere “eredi della grande Russia, di Pietro il Grande e di Caterina II, di quell’Impero grande, illuminato, di tanta cultura e umanità”. Per non dire delle volte in cui insisteva sul fatto che “non è una guerra tra buoni e cattivi”, che occorre “capire le ragioni della Russia” e che bisogna “aprire canali con Mosca”. Queste dichiarazioni portarono a condanne pubbliche del Papa – ben pubblicizzate da Kiev e dai suoi amici in Occidente – talvolta persino al suo oscuramento sui media.

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