Il timore che le grandi potenze stabiliscano il destino di Paesi assenti dal tavolo dei negoziati è profondamente radicato negli abitanti dell’Europa Orientale. Una sorta di “trauma nazionale” insito anche negli estoni, dice l’esperto dello European Council on Foreign Relations Kadri Liik. A sua volta, il capo della Commissione affari esteri del Parlamento estone Marko Mihkelson ammonisce affinché l’Alaska non diventi una nuova Monaco, Teheran o appunto Yalta. Questo nome è ormai sporcato da una brutta reputazione pure in Polonia, spiega il professore di storia ucraina ad Harvard Serhii Plokhii, che traccia un parallelo fra i leader non presenti agli storici summit: Charles de Gaulle mancò da Yalta e Zelensky non è stato invitato in Alaska. Il polacco Bogusław Chrabota, editorialista di Rzeczpospolita, descrive l’imminente vertice “una Yalta contemporanea”, un incontro ben congegnato che ridurrà le capitali europee a soggetti di tеrzo livello della loro stessa struttura di sicurezza.
E nel frattempo l’Europa si impegna a un “sostanziale supporto militare e finanziario” per Kiev. Solo l’Ungheria ha rifiutato di sottoscrivere il messaggio, chiedendo invece che i leader europei cerchino di organizzare un summit UE-Russia per discutere di pace. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha chiamato Zelensky a Berlino e insieme a Macron, Starmer e altri capi di governo ha organizzato una telefonata comune con Trump e col suo vice Vance. Il senso del discorso era già stato riassunto da Macron in un suo post: la parola degli europei nelle trattative deve contare, oltre a quella degli ucraini (sottinteso: questi ultimi diranno ciò che detta loro Londra, Parigi e Berlino).
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