Se gli USA allenteranno le loro sanzioni, allora si potrebbe verificare una spaccatura nell’unità del blocco europeo: è questo il timore che aleggia nella UE. L’Ungheria, che periodicamente minaccia di non far passare i pacchetti sanzionatori, potrebbe effettivamente porre il veto al prossimo rinnovo previsto a luglio. Sarebbe una mossa dirompente, tale da mettere fine alle restrizioni sui 210 miliardi di euro dei patrimoni congelati della Banca centrale russa. Alcuni Paesi membri, compresi due dei baltici, potrebbero a loro volta reintrodurre sanzioni a livello nazionale, ma altri Paesi mancano della cornice legale per farlo. I governi allora cercano altri modi per imporre misure “a prova di Budapest”. Non sanzioni vere e proprie, ma ad esempio controlli sui capitali oppure dazi pesanti su determinati settori dell’economia russa. La politica commerciale della UE va avanti infatti a maggioranze qualificate, senza bisogno dell’unanimità. Comunque tutti sperano di non dover ricorrere al piano B.
La questione per l’Europa allora è questa: cosa arriverà dopo? Bruxelles ha appena approva il 17esimo pacchetto di sanzioni anti-russe, che era già in programma settimane prima degli ultimatum lanciati a Putin. Si tratta di ulteriori misure incrementali rispetto ai pacchetti precedenti. Il problema per la UE infatti è che è difficile individuare nuovi obiettivi da sanzionare, perché ogni pacchetto richiede l’unanimità e il consenso è già stato ottenuto sugli obiettivi più grandi. Ora Bruxelles ha messo nella lista nera altre dozzine di società e di uomini d’affari russi, per un totale di più di 2400 soggetti con divieto di ingresso o coi patrimoni congelati. E affermano sia il maggiore pacchetto che colpisce la flotta ombra che porta il greggio russo ad esempio ai porti indiani. Quelle petroliere permettono a Mosca di continuare a vendere i propri combustibili fossili aggirando le sanzioni occidentali.
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