Da tempo l’attività del governo di Nikol Pashinyan oscilla fra la ricerca di un appeasement con Baku e un’apparente tentativo di rivalsa diplomatica – e forse militare – contro l’Azerbaigian. A riprova di tale atteggiamento vi è l’aumento significativo del budget per la difesa: addirittura il 20% in più rispetto al 2024, arrivando al 6% del PIL. Questi numeri fanno sospettare che Erevan non tenda veramente alla stabilità nella regione, ma si prepari piuttosto a un altro round col suo storico nemico. Anche sul piano delle alleanze talvolta fa dei passi su strade che paiono opposte. Pashinyan bussa alla porta dell’Unione Europea, ma torna a celebrare insieme a Putin il 9 maggio sulla Piazza Rossa, evento al quale era mancato lo scorso anno. A tali dubbi il premier armeno risponde così: Perseguiamo una politica estere bilanciata e complementare. Ciò non significa costruire relazioni in una sola direzione a spese delle altre.
Le critiche di Baku sono di fatto dirette anche verso Bruxelles. Infatti, se da un lato l’Unione Europea si sforza di favorire pace e stabilità nel Caucaso meridionale (perseguendo comunque i propri interessi: tenersi l’Azerbaigian come fornitore energetico e premere sulla Russia da sud), dall’altro uno dei membri preminenti, la Francia, supporta in modo esplicito e concreto una parte in causa, l’Armenia. E la politica di Pashinyan sta suscitando confusione e ostilità fra gli stessi armeni. Forse per accontentare diplomaticamente gli avversari internazionali e placarli, ha sminuito la portata del genocidio subito nel secolo scorso ad opera dell’Impero Ottomano. Il presidente del parlamento Alen Simonyan ha infatti accusato l’opposizione di preoccuparsi troppo del lutto e del dolore passato invece che della costruzione del futuro. Anche Trump e i rappresentanti UE in Armenia stanno evitando di usare la parola “genocidio” e parlano genericamente di “vittime”, facendo così gongolare Erdoğan.
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