Se il progetto della von der Leyen è rimasto a galla, seppur rinominato e riformulato – e probabilmente soggetto in futuro a ulteriori limature – quello di Kaja Kallas è stato accolto con estremo scetticismo. Per dirla senza un eufemismo, è stato ampiamente spernacchiato. L’ex premier estone, oggi Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha descritto l’Ucraina come la “prima linea di difesa europea” contro la Russia. Con questa premessa, ha chiesto ai Paesi membri di rendere disponibili per Kiev 40 miliardi di euro concedendo un contributo derivante da una “piccola” percentuale di PIL. L’immediata reazione negativa ha fatto sì che alcuni diplomatici definissero subito il progetto come defunto.
Insomma, sia prima che dopo si sta dicendo esplicitamente ai cittadini di tenersi pronti alla guerra: l’uscita ridicola e infelice del kit di sopravvivenza dell’eurocommissaria Hadja Lahbib ne è stata l’odiosa conferma. Dev’essere comunque rimasto un briciolo di buon senso nella testa dei governanti europei, se qualcuno ha fatto notare che prima degli armamenti servirebbero le infrastrutture e le tecnologie. Per fortuna a parlarne sono stati Giorgia Meloni e il suo omologo spagnolo Pedro Sánchez. Entrambi hanno messo l’accento sul concetto di difesa, spostandolo dall’idea di aggressione a senso unico implicita in un progetto di mero riarmo.
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