Boeri parte dal discutibile presupposto che la maggioranza di quelli che arrivano sulle coste italiane è fatta di giovani che lavoreranno a lungo prima di raggiungere l’età pensionabile e che molti di loro torneranno in patria prima di maturare i requisiti per l’ottenimento dell’indennità sociale. Sono due ragioni oggettive, ma alquanto deboli, perché confidano nella speranza che le abitudini degli immigrati non si conformino alle nostre e che l’esodo di massa continui senza sfociare nella stanzialità. Boeri sembra avere un approccio quasi dottrinale alla questione e lo giustifica usando cifre corrette nella forma, ma che nella sostanza si legano solo al breve e non al medio o al lungo periodo.
La pensa così Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, che sulle colonne de Il Foglio smonta il pensiero di Boeri: Sarei prudente a sostenere queste posizioni, che mi sembrano più ideologiche che basate sullo stato attuale dei fatti. I dati ci dicono che l’immigrazione è attualmente un costo per lo Stato. D’altra parte l’immigrazione è per sua natura un investimento ma l’investimento della Germania non è lo stesso di quello italiano se si considera che da noi gli immigrati sono occupati prevalentemente nella manovalanza a basso prezzo, spesso sfruttati da qualche italiano furbo che li fa lavorare in nero, generando l’effetto di abbassare gli standard lavorativi per tutti. Ecco perché poi si dice che certi lavori gli italiani non li fanno più.
E rincara la dose: Bisogna investire nelle politiche di sostegno alla maternità, con interventi organici che non si riducano a semplici bonus. Ma anche riducendo il costo del lavoro per permettere ai nostri ragazzi di accedere al mercato del lavoro, tagliando la componente fiscale. Così possiamo portare sviluppo al paese, scegliendo di investire in maniera diversa i costi che già oggi sosteniamo come ad esempio quelli per l’accoglienza e a quelle spese per sostenere l’immigrazione che si è ormai stabilizzata. Quindi per Brambilla il costo totale della gestione dell’immigrazione è ben più alto dei 38 miliardi di euro che produce. Certo, di questi miliardi alcuni verrebbero poi recuperati in quanto versato dalle migliaia di cittadini che non accedono alle mansioni oggi affidate quasi esclusivamente agli immigrati: La gran parte dei lavori che gli immigrati svolgono sono in nero ed è lo stesso Stato a non essere in grado di portare ordine e giustizia. La teoria di Boeri è persa in partenza proprio perché è lo Stato italiano a non poter controllare i lavoratori sfruttati nei nostri campi in sud Italia o le tasse che dovrebbero pagare i negozi gestiti da stranieri.
Secondo i dati Inps, nel 2015 erano 81.619 gli stranieri che percepivano una pensione in Italia. Di questi, 49.852 (il 61%) incassano pensioni assistenziali che non prevedono il versamento di alcun contributo. Altri 9.071 ricevono assegni di indennità o civili e solo nei casi di incidenti sul lavoro il soggetto garantito ha l’obbligo di aver versato contributi all’Inps. Insomma, se il buon giorno si vede dal mattino — e questi dovrebbero essere numeri che comprendono in piccola parte i primi sbarchi risalenti a qualche decennio fa — allora non si possono condividere le beate certezze di Boeri. Ma soprattutto da un dirigente di alto livello come lui ci si attende non la fiducia nelle buone intenzioni dei giovani africani, ma lo sforzo concreto di disegnare soluzioni alternative per gestire un’emergenza umanitaria che si sta trasformando sempre più rapidamente in un disastro sociale per la nostra Penisola.
Pubblicato da Sputnik Italia